Sepilok Orangutan Rehabilitation Centre

Il piccolo aereo nella manovra di discesa fende la leggera foschia, abbastanza usuale lungo le coste e anche nel cuore verde del Borneo, e al viaggiatore forse un po’ assorto, ma desideroso di iniziare già dall’alto a esplorare la terra, che sta per conoscere, si disegna con contorni sempre meglio definiti la sagoma irregolare del litorale, la cittadina di Sandakan e l’intrico della foresta pluviale, che proprio da questo centro, periferico, ma ricco di storia e di misteriosi racconti popolari, si lancia infinita verso l’interno.

Ed è proprio a Sandakan che l’antico s’intreccia col moderno, creando una continuità evidente tra fasti di lo splendido passato delle popolazioni locali, ma pure del passato più recente dominato dagli scontri cruenti tra potenze coloniali, e un moderno, che non si lascia mancare niente, simbolo di una regione e di una nazione, proiettate in un avveniristico futuro.

Si va verso il futuro però con una priorità ben precisa: la salvaguardia e lo sviluppo dell’ambiente, di un mosaico ambientale, che qui è valorizzato in ogni sua tessera: la foresta è costantemente curata, gelosamente protetta, strenuamente protetta contro la minaccia incalzante della coltivazione della palme da olio, sponsorizzata dalle grandi multinazionali dell’industria cosmetica.

E vi è da sottolineare subito come il Governatorato locale sia impegnato in prima linea nella difesa ambientale, in questo affiancato da intelligenti operatori turistici malesi e stranieri, attivi nel promuovere un turismo ecosostenibile, che porti una clientela selezionata e motivata a prendere contatto diretto con tribù locali, condividendone magari nell’intrico di una foresta solo apparentemente impenetrabile indimenticabili esperienze di vita quotidiana ancora arcaica.

Orango nel centro di riabilitazione in Borneo

Ed è in questo “modus operandi” che si inquadra una realtà unica come il Parco di Sepilok, a pochi chilometri da Sandakan, non distante dall’aeroporto: è un modernissimo centro di riabilitazione per i piccoli oranghi orfani, aiutati appunto a prendere graduale confidenza con la foresta, dove, una volta pronti, verranno reinseriti: tra l’altro “orang utan” in lingua malese significa “uomo della foresta” ad indicare un connubio indissolubile tra questo splendido primate, vagamente antropoide, e il polmone verde, in cui vive e in cui solo lì può vivere.

Un centro fortemente voluto dal Governo malese e oggi gestito con l’aiuto indispensabile di zoologi ed etologi occidentali, soprattutto inglesi.
Un centro che ogni anno attira la curiosità di migliaia di turisti, che possono giungere in “viewpoints” già nella foresta e da lì ammirare emozionati il momento della nutrizione dei cuccioli degli oranghi, una colazione a base di banane e di tutto ciò, che in un futuro non lontano non faranno fatica a trovare nella fitta vegetazione, a cui saranno restituiti.

Oranghi che vanno a cibarsi dalla piattaforma, Sepilok, Malesia

La visita poi si conclude con una robusta full immersion cittadina: dai mercatini cinesi e filippini del porto, ai quartieri più caratteristici, che ospitano il crogiuolo di razze del Sud-Est asiatico e dell’isole del vicino Pacifico; per finire con l’asciutto ed essenziale monumento funebre in ricordo del sacrificio del battaglione australiano, che durante la seconda guerra mondiale venne catturato dall’esercito giapponese, trascinato nel cuore della foresta e lì abbandonato senza viveri: sei eroici soldati, dopo un mese di marcia, riuscirono a sopravvivere e ad arrivare dall’altra parte, a Kota Kinabalu; le altre migliaia di vite umane furono spezzate dalle insidie letali di un ambiente, che non perdona; e oggi sono ricordate da queste costruzioni dall’aspetto fortemente simbolico.

Ma Sandakan è vita: volti, che guizzano con sorrisi sinceri; occhi, che scrutano e quasi parlano, trasmettendo allo straniero stati d’animo, che egli non riesce a capire da una lingua indecifrabile; bambini e anziani, giovani madri o donne più attempate, tutti uniti in un flusso dinamico, che esprime un modo d’essere accogliente e propositivo: un “modus vivendi”, che, raccontato nei loro diari già dai viaggiatori inglesi di inizio ‘800, affascinò Salgàri: egli col suo genio narrativo lo riprodusse e lo arricchì nei suoi romanzi immortali, facendo addirittura un simbolico regalo alla città di Sandakan: ad essa infatti con chiara evidenza etimologica ispirò il nome – Sandokan – del suo personaggio-eroe.

By Aristide Malnati – Giornalista (Il Giorno e Famiglia Cristiana)

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