Orang Asli significa aborigeni ed è il termine generico che viene utilizzato per identificare circa 18 gruppi etnici composti da un totale di 150.000 individui, considerati i veri nativi della Malesia peninsulare prima dell’arrivo dei malesi, indiani e cinesi.
Gli Orang Asli sono suddivisi in tre gruppi principali: i Negrito, i Senoi e i Protomalesi; ciascun gruppo ha una propria lingua e cultura.
Come suggerisce il nome, i Negrito sono quelli con la pelle più scura e capelli crespi, originari dalla Papua Nuova Guinea o dall’Africa orientale che vivono nelle foreste del nord est della penisola malese. I Negrito sono una tribù semi-nomade che vive di caccia e pesca e solo pochi di loro hanno un lavoro fisso nelle aree urbane. Si ritiene che siano arrivati in Malesia 8,000 anni fa. I Negrito, che vivono nella giungla, utilizzano ancora oggi delle tecniche primitive di caccia come la cerbottana, con cui scagliano frecce avvelenate alle prede. Vivono in semplici capanne di legno con i tetti coperti di foglie di palma o di paglia. Rimangono nello stesso posto fino a quando non accade qualcosa, come una morte e una malattia grave.
I Protomalesi sono quelli che hanno un aspetto molto simile ai malesi, anche se la loro origine è completamente diversa. Erano esperti navigatori con tecniche di pesca molto avanzate e per questa ragione si sono stanziati nelle zone che si affacciano sullo stretto di Malacca e a sud di Johor.
Al giorno d’oggi alcuni di loro si sono convertiti all’islam e sono stati completamente assorbiti dalla comunità malese.
I Senoi originati del Vietnam, Cambogia e Thailandia del Nord, si sono stanziati negli altopiani di Cameron Highland circa 6000 – 8000 anni fa.
Assomigliano ai malesi, anche se quelli con la pelle più scura sono più simili ai Negrito. Al giorno d’oggi la maggior parte dei Senoi lavorano nelle piantagioni di tè di Cameron Highland e alcuni di loro si sono spostati nella città di Kuala Lumpur per lavorare come impiegati.
La metà degli Orang Asli vive ancora in prossimità delle foreste e sono dediti alla caccia e la coltivazione del riso. Piccoli gruppi come gli Orang Seletar e i Mah Meri, vivono nelle zone costali e sono dediti principalmente alla pesca. I Negrito invece, continuano a praticare il loro stile di vita semi-nomade.
Circa il 70 per cento degli Orang Asli è di religione animista tradizionale, il 20 per cento si è convertito all’islam, mentre il restante 10 per cento sono cristiani.
Gli Orang Asli che abitavano nell’entroterra della penisola malese, sono rimasti isolati dal resto del mondo fino all’arrivo dei mercanti indiani nel primo millennio DC. Iniziarono così a praticare il baratto di prodotti come resine, incensi, utensili in ferro e stoffe.
Con l’ascesa dei sultani malesi, gli Orang Asli vennero ridotti in schiavitù. Per sfuggire a questo destino, molti furono costretti a ritirarsi nelle zone più remote e inaccessibili del paese.
La venuta dei coloni britannici segnò la fine della schiavitù degli Orang Asli, ma non vennero fatti sforzi per promuovere il loro benessere. A causa della loro “primitività” e la loro “cultura incivile” furono considerati come soggetti ideali per la ricerca antropologica.
Inoltre, essere considerati come “incivili” era diventato un motivo per essere considerati come anime da salvare, quindi furono presi di mira dai missionari cristiani.
Gli Orang Asli furono insignificanti nella sfera politica del paese, anche se giocarono un ruolo determinante durante la guerra civile tra governo coloniale e i ribelli comunisti del 1948-1960. I ribelli che si andarono a rifugiare nelle zone remote del paese, furono aiutati dagli Orang Asli nel procurarsi cibo, manodopera e informazioni utili (intelligence). Il governo coloniale, nell’intento di evitare che i ribelli ricevessero aiuti dagli Orang Asli, reinsediò gli aborigeni in appositi campi dove alcune centinaia morirono per l’affollamento, il caldo e la depressione. Quando il governo coloniale si rese conto di aver commesso un errore, decise di aiutare gli Orang Asli in modo concreto, in quanto erano la chiave per mettere fine alla guerra. Vennero costruiti dei “forti nella giungla” dove gli aborigeni potevano trovare le strutture sanitarie di base e le scuole. La nuova strategia ebbe successo e l’emergenza si concluse nel 1960.
Ma negli anni 70-80 la Malesia ebbe un forte sviluppo economico che portò a nuovi abusi sugli Orang Asli che vennero privati delle loro terre e furono costretti a convertirsi all’islam.
Per difendersi dai soprusi, hanno istituito una loro associazione (POASM Peninsular Malaysia Orang Asli Association ) in modo da avere voce in capitolo e proteggere la loro identità. Il governo Malese adottò una politica di assimilazione per trasformare gli Orang Asli in malesi musulmani, cercando di stradicare la categoria di popoli aborigeni in Malesia. Questa politica non solo facilita la conversione islamica, ma impedisce agli Orang Asli la conversione ad altre religioni, limitando in tal modo la loro libertà religiosa.
Le terre degli Orang Asli erano ambite da potenti interessi commerciali: legname, minerali, coltivazione della palma da olio, piantagioni di gomma, campi da golf, installazioni idroelettriche e molti altri progetti per lo sviluppo e a favore della maggioranza della popolazione malese.
Tutto ciò spinse il governo a effettuare il disclocamento di alcuni Orang Asli lontano dalle loro terre che vennero utilizzate a scopo commerciale. Ma c’è di più, in un tentativo di proibire l’ingresso ai turisti nei villaggi Orang Asli del parco Taman Negara, un ministro nel 1997 si espresse in questo modo “Anche se è naturale per le donne della tribù andare in giro mezze nude, se fotografate dai turisti, possono dare un impressione sbagliata che i malesi vanno in giro nella foresta vestiti in quel modo”. Si può concludere dicendo che gli Orang Asli non solo vivono nel luogo sbagliato nel momento sbagliato, ma la loro posizione ai margini delle società, fa in modo che siano anche le persone più indesiderate in Malesia.