Gli anziani del Bhutan ricordano ancora con terrore i boschi tenebrosi, le impronte impresse sul terreno e gli uluati notturni della creatura. Nella loro infanzia, la bestia li seguiva sui sentieri di montagna e il panico dilagava tra gli abitanti del villaggio ogni qual volta che la creatura misteriosa veniva avvistata.
Nel remoto regno himalayano del Bhutan, lo Yeti, ovvero l’abominevole uomo delle nevi, era parte della vita quotidiana fino a qualche anno fa. Molti sostengono che sia ancora nascosto nei boschi e vaghi tra le montagne e valli, percorrendo gli antichi sentieri.
Le nuove generazioni ci ridono su, lo Yeti non è altro che una leggenda frutto della fantasia popolare e come ogni persona istruita al passo con i tempi, ritengono che le foreste del Bhutan non siano popolate da creature misteriose.
Nonostante molte credenze tradizionali rimangono ancora profondamente radicate in Bhutan, come l’astrologia e la venerazione dei monaci, lo Yeti è sempre più dimenticato e viene visto dai giovani come un link con il passato, in cui le persone erano prive d’istruzione. Il Bhutan è un paese in fase di modernizzazione e i giovani ci tengono a dimostrare che sono al passo con i tempi.
In occidente, le creature come lo Yeti, non sono altro che soggetti per film hollywoodiani e racconti fantastici senza il minimo fondamento scientifico. Ma in tutta l’Himalaya, l’abominevole uomo delle nevi è stato una figura mitologica importante per diverse generazioni.
Bisogna dire che la regione dell’Himalaya è sempre stata ricca di fauna selvatica; tigri, leopardi e orsi hanno vagato indisturbati nelle fitte foreste di montagna e nelle valli più remote. Qui, come in nessun altro posto al mondo, lo Yeti era semplicemente una specie in più a quelle già presenti.
Lo Yeti fu per anni il simbolo del Bhutan. Storie sulla sua presunta esistenza venivano raccontate perfino dal Re e dagli alti funzionari del governo, basti pensare che il Parco Nazionale Sakteng fu istituito proprio per proteggere il suo habitat e le Poste gli dedicarono un francobollo.
Il piccolo regno, ignorato dal resto del mondo, è rimasto sigillato per secoli, nascosto tra le montagne impervie dell’Himalaya, dove la vita rurale dei feudi ruotava attorno ai cicli agricoli. Non c’erano strade, energia elettrica e nemmeno una valuta, quindi il commercio dipendeva dal baratto. Non esistevano le poste e telecomunicazione e i turisti erano esclusi.
Solo dopo l’invasione cinese del Tibet nel 1959, il re del Bhutan decretò che il paese doveva aprirsi al mondo e aggiornarsi con i tempi moderni. In un primo momento, il cambiamento avvenne lentamente, ma nel 1990 iniziò il boom vero e proprio. Il progresso portò strade, televisioni, internet, telefoni e infine, anche se in numero molto limitato, arrivarono i turisti.
In Bhutan, quasi tutti provengono da un piccolo villaggio sperduto, ma pochi vedono il futuro nell’agricoltura. I giovani si sono spostati nella capitale Thimphu, che è sempre più affollata anche se mantiene intatto il suo fascino con i suoi maestosi palazzi reali. Comunque, quando si parla di affollamento è bene specificare che i microscopici ingorghi di traffico nella capitale non superano una dozzina di vetture.
Oggi il Bhutan ha raggiunto un bivio difficile, il dinamismo della modernità si sta scontrando con le insidie della modernità stessa. Questo è anche un momento in cui tutti possono frequentare una scuola, quando fino a qualche anno fa era solo un sogno. Il processo di acculturazione ha reso lo Yeti una figura sempre più scomoda.
Tornando alla leggenda dello Yeti, nessuno è sicuro a quale epoca risalga. Già nel 79 DC, Plinio il Vecchio, descrisse possenti animali himalayani con corpi simili agli umani. Altri manoscritti cinesi del 7 secolo citano delle creature pelose simili allo Yeti.
Le leggende variano da regione a regione in tutta l’Asia, in alcuni paesi, lo Yeti era un mangiatore di uomini, mentre in altri paesi era ritenuto una creatura erbivora. In altri paesi ancora era visto come un cattivo presagio ed una combinazione di uomo, animale e demone.
Una cosa comune per tutti era che lo Yeti era una creatura alta, pelosa e molto forte. Viveva sulle montagne e evitava il contatto con gli umani. Solo una manciata di pastori di yak poteva dire di vederlo regolarmente, mentre tutti gli altri sapevano della sua esistenza e lo temevano.
In Bhutan, veniva chiamato “migoi” che significa uomo forte, ma in altre zone dell’Himalaya gli sono stati attribuiti diversi appellativi tra cui uomo dei ghiacciai, goblin delle nevi e uomo selvaggio. In occidente è conosciuto con il nome “Yeti” che si crede derivi dalla parola tibetana “orso”.
La storia di una creatura misteriosa iniziò a circolare in occidente verso la metà del 20 secolo e immediatamente scaturì l’immaginazione di molti.
I primi alpinisti furono coloro che portarono la storia in occidente, raccontando di aver visto strane impronte sulla neve e animali misteriosi che camminavano su due gambe. Hanno anche riportato racconti uditi dagli sherpa radunati attorno al fuoco.
Alcuni credettero che ci fosse stato un pizzico di verità in tutto questo, dopo tutto l’Himalaya era uno dei luoghi più isolati e più inaccessibili al mondo e poteva esserci qualcosa ancora da scoprire, forse una specie di gorilla o una forma di proto-umano rimasto nascosto per secoli tra i dirupi delle montagne.
Storie simili, dopotutto si erano dimostrare vere nel passato, come nel 1902 quando un soldato tedesco dimostrò che dietro le leggende africane di una bestia enorme che viveva sulle montagne c’era del vero. Infatti, durante le sue esplorazioni, riuscì a catturare un gorilla di montagna ancora sconosciuto al mondo.
Così iniziò anche la caccia allo Yeti. Nel 1954, il giornale Daily Mail fu il primo che inviò una squadra di ricercatori. Qualche anno dopo arrivarono anche un ricco petroliere texano, il conquistatore dell’Everest Sir Edmund Hillary, spedizioni sovietiche, troupe televisive e scienziati provenienti da tutto il mondo.
Furono raccolti un sacco di indizi, dalle impronte ai capelli, ma furono immediatamente smentiti dalla scienza che rivelò appartenere a orsi. Decenni di ricerche non portarono a niente e alla fine anche i più ferventi ricercatori dovettero ammettere che non c’era nessuno Yeti sull’Himalaya.
Ma in Bhutan qualcuno non ha mai smesso di crederci e presso la sede del dipartimento della forestale ci sono dei gessi con le impronte giganti ritenute appartenere allo Yeti. In Bhutan lo sanno benissimo che significa lottare tra fede e scienza. Molti sono laureati e la loro formazione professionale gli insegna a non credere in qualcosa di cui non hanno prove certe.
Nonostante tutto, pochi coraggiosi vogliono continuare a crederci e non gettare via le credenze del passato a cui sono ancora profondamente legati.
Ma la maggior parte della popolazione sta cambiando al passo con i tempi e credere alla storia dello Yeti significherebbe essere antiquato. Anche le famiglie più tradizionali sognano un lavoro ben pagato per il loro figli che li porterà lontano dalle case ancestrali dei villaggi segnati da secoli di vita rurale.
E come le tigri che una volta popolavano queste foreste, anche lo Yeti se ne è andato. E se ne sono andati via anche i giovani in cerca di fortuna e successo. Lo Yeti è decisamente in via d’estinzione in Bhutan e la sua perdita lascerà delle fratture nell’anima culturale delle persone che ci hanno creduto da sempre.
Intanto, nel desolato villaggio, cala la notte, e gli anziani percorrono i sentieri sterrati che conducono alle case di legno, e le luci elettriche scacciano via le tenebre e tutto ciò che potrebbe essere nascosto nella sua oscurità.