Il tatuaggio è una delle forme d’arte più antiche del mondo, ampiamente praticata per migliaia di anni. Il più antico è stato trovato sul corpo di un uomo di 5,000 anni fa, rinvenuto sulle Alpi austriache.
Gli antropologi sostengono che per alcune persone il tatuaggio ha lo stesso valore di un capo d’abbigliamento, mentre per alcune tribù ha un significato molto più profondo di un semplice ornamento. Per alcune popolazioni indigene è un’importate pratica rituale con un forte significato socioculturale.
Alcuni tatuaggi simboleggiano un’affiliazione con gli spiriti, divinità o antenati, mentre altri segnano il raggiungimento della pubertà o il rango sociale. Alcuni servono per identificare una persona con delle particolari abilità, ad esempio nella caccia, tessitura o agricoltura.
Le ragioni per cui le persone si fanno i tatuaggi sono molteplici e variano da continente a continente e in base al periodo storico. Per le culture polinesiane il tatuaggio è sacro e rappresenta il legame con gli antenati, mente le donne Maisin della Papua Nuova Guinea si fanno tatuare il viso con dei motivi curvilinei per indicare che sono pronte per il matrimonio.
Il tatuaggio ha avuto una grande importanza nelle culture dei cacciatori di teste di tutto il mondo; dai Naga in India, Bontok Igorot nelle Filippine, Mundurucú dell’Amazzonia fino ai Dayak del Borneo.
I tatuaggi dei Dayak del Borneo
Prima dell’arrivo dei missionari cristiani, i Dayak del Borneo erano un popolo dalle tradizioni animiste e credevano nell’esistenza di spiriti presenti in tutte le cose dell’universo. Usavano decorare il proprio corpo con motivi floreali e immagini stilizzate di animali per creare un profondo legame con gli spiriti presenti in natura.
I tatuatori erano i membri della tribù che erano in grado di mettersi in contatto con gli spiriti. Durante i rituali gli spiriti fornivano a questi artisti delle ispirazioni per ottenere disegni efficaci e potenti. Nel gruppo etnico Kayan Dayak erano le donne a fare i tatuaggi e passavano la loro conoscenza e abilità da madre a figlia da una generazione all’altra.
Mentre nel gruppo Iban Dayak, i più feroci cacciatori di teste del Borneo, i tatuaggi erano riservati solo agli uomini.
I Dayak ottenevano l’inchiostro nero-blu dei tatuaggi mischiano insieme ingredienti naturali come la fuliggine lo zucchero e il carbone. Talvolta per aumentare il potere magico dei tatuaggi e tenere lontano gli spiriti, venivano aggiunti degli ingredienti speciali come schegge di meteorite e frammenti di osso di animale.
era ottenuto dalla fuliggine e dal carbone, ritenuti dai Dayak una sostanza magica capace di tenere lontano gli spiriti maligni. Talvolta, per aumentare il potere magico del tatuaggio, veniva aggiunto all’inchiostro una scheggia di meteorite o un frammento di osso di animale.
Per creare il tatuaggio, l’artista utilizzava delle punte affilate di bambù (o aghi) legate tutt’intorno a un bastoncino di legno. Dopo aver immerso le punte affilate nel pigmento, l’artista iniziava a picchiettare velocemente la pelle della persona per imprimere il disegno.
Il rituale del tatuaggio
Tradizionalmente, il tatuaggio Dayak veniva eseguito durante un rituale sacro in cui partecipavano i personaggi più esponenti del villaggio.
Nel gruppo dei Ngaju Dayak, il tatuatore iniziava il rituale sacrificando un pollo in onore degli antenati. Dopo aver eseguito una sorta di canto meditativo, l’artista iniziava il doloroso processo del tatuaggio che poteva durare ore o giorni. Alcuni tatuaggi più elaborati richiedevano più di una seduta prima di essere completati.
I giovani Dayak venivano tatuati per la prima volta nel rito d’iniziazione. Durante questa cerimonia, i ragazzi indossavano costumi speciali ricavati dalla corteccia del gelso che simboleggiavano il trapasso e l’inizio di una nuova vita.
I costumi erano cuciti dalle vedove del villaggio e venivano usati solo nei riti d’iniziazione e nei riti funebri per drappeggiare i cadaveri.
La “Rosa del Borneo” o Bunga Terung era il tatuaggio riservato ai riti d’iniziazione. Il disegno stilizzato della rosa significava il raggiungimento della maggiore età – la spirale all’interno del fiore è un girino che si tramuta in rana e simboleggia il ciclo della vita.
I Tatuaggi dei cacciatori di teste
Anticamente la tribù dei Dayak riteneva che l’anima si trovasse nella testa. Pertanto, l’infame pratica di tagliare le teste serviva per impadronirsi delle anime dei nemici.
Questo gesto conferiva al vincitore delle abilità incredibili e potere che servivano per garantire il successo nell’agricoltura e nella fertilità della tribù.
Dopo un’incursione vittoriosa nel villaggio dei nemici, i guerrieri Dayak facevano ritorno al proprio villaggio esibendo le teste dei nemici abbattuti come trofei. In onore di questa vittoria venivano premiati con dei tatuaggi speciali riservarti ai cacciatori di teste.
La pratica di tagliare le teste diventò illegale oltre un secolo fa ma ancora oggi le comunità rurali del Borneo conservano i teschi catturati dai loro antenati appesi al soffitto delle loro case tradizionali “longhouse”.
Tatuaggi nelle donne Dayak
In passato, soltanto gli uomini Iban Dayak potevano farsi tatuare, mentre le donne dovevano accontentarsi di gioielli e abiti ornamentali da sfoggiare durante le cerimonie.
Invece le giovani adolescenti del gruppo entico Kayan Dayak, si facevano tatuare al raggiungimento della pubertà per annunciare alla comunità il loro ingresso nell’età adulta. Il tatuaggio per le Kayan Dayak serviva anche come protezione per tenere lontani gli spiriti maligni.
Man mano che crescevano e si sposavano, le donne Kayan Dayak, finivano per essere coperte da un intreccio di immagini e simboli che sfoggiavano orgogliosamente sull braccia, gambe e dita.
Tuttavia, non tutte le donne Kayan Dayak potevano permettersi il lusso di avere tutti questi tatuaggi elaborati; soltanto quelle più facoltose erano in grado di pagare l’artista con un gong, un maiale o altri beni preziosi.
Agli schivi di ogni genere e gruppo, non era permesso farsi tatuare.
Alla ricerca della perfezione
I tatuaggi tribali del Borneo venivano fatti nel corso di un’intera vita e coincidevano con il raggiungimento di alcune tappe ritenute fondamentali dai Ngaju Dayak.
Il primo tatuaggio che veniva fatto durante il rituale di iniziazione, segnava l’ingresso del giovane nella comunità degli adulti. Quando l’uomo Ngaju Dayak si sposava e acquisiva una rispettabile posizione socioeconomica, si faceva tatuare una stella stilizzata sulla spalla.
Con il passare degli anni, verso l’età di 40 anni, soltanto alcuni uomini definiti “perfetti” erano degni di ricevere un tatuaggio “completo”. Affinché gli uomini potessero raggiungere questo traguardo dovevano essere economicamente benestanti oppure dovevano essere stati degli abili cacciatori di teste. Il tatuaggio completo consisteva nel ricoprire le braccia con motivi decorativi floreali, “l’Albero della Vita” sul torso e “l’Ukir Rekong” sul collo. Quest’ultimo era un potente simbolo che forniva agli uomini Ngaju Dayak uno scudo contro gli spiriti maligni e li proteggeva dagli attacchi dei nemici.
Grazie a questi tatuaggi, gli uomini Ngaju Dayak venivano considerati dalla comunità come individui divini che nell’aldilà avrebbero ricevuto un corpo fatto d’oro.
Nella comunità degli Iban Dayak, solo i guerrieri più anziani potevano decorarsi il torso con un collage di simboli magici e potenti. Uno di questi era il simbolo del bucero che rappresentava il messaggero del dio della guerra e veniva tatuato solo agli uomini di un certo rango sociale.
Altri simboli, come lo scorpione o l’aspide, servivano per proteggersi dagli spiriti maligni sempre in agguato nella giungla.
Con l’arrivo dei missionari, molti Dayak si sono convertiti al cristianesimo e hanno messo fine alle pratiche tradizionali tra cui i tatuaggi. In Borneo, come in altri gruppi indigeni di tutto il mondo, i tatuaggi tribali stanno pian piano scomparendo.
Tuttavia, segnali positivi stanno arrivando dalla nuova generazione di Iban Dayak del Sarawak. I nipoti dei feroci cacciatori di teste hanno riscoperto le antiche tradizioni praticate dai loro antenati e hanno aperto alcuni studi dove tatuano ai turisti gli antichi simboli che in passato erano riservati solo ai guerrieri.