Prima che la pandemia ponesse fine alla maggior parte dei viaggi internazionali, i fragili ecosistemi del sud est asiatico venivano regolarmente massacrati dal fenomeno dell’ Overtourism, ovvero un tipo di turismo predatorio e irresponsabile che assalta e divora tutti i posti più belli senza comprenderli affatto. Complici i voli low cost, i social media e le piattaforme di prenotazione online, il turismo in Asia ha avuto una crescita esponenziale negli ultimi anni, tanto da diventare una vera e propria “piaga” per le località più popolari.
La morte dei coralli, la scomparsa della vita marina e le spiagge idilliache traboccanti di plastica e rifiuti, sono solo alcuni effetti che sono stati attribuiti alla presenza eccessiva di turisti e allo sviluppo incontrollato orientato ad accogliere sempre un maggior numero di visitatori.
Poi ha colpito la pandemia e i paesi sono entrati in lockdown. I viaggi internazionali sono drasticamente ridotti e i turisti sono scomparsi. Un effetto devastante per l’industria del turismo.
Adesso, con l’eliminazione delle restrizioni, si può finalmente tornare a viaggiare, ma si teme che i paesi che dipendono fortemente dal turismo avranno fretta di ricostruire le loro economie e non sarà facile resistere alla tentazione di attirare più visitatori possibile.
Se pandemia ci ha travolto in un vortice di disagi sanitari, sociali ed economici senza precedenti, ci ha anche offerto l’occasione unica per ricostruire una nuova industria turistica sempre più educata al turismo responsabile.
Noi, operatori turistici, dobbiamo essere i primi a promuovere un nuovo modello di turismo sostenibile che rispetti l’ambiente, gli abitanti del luogo, le spiagge e tutto ciò che concerne la natura.
Qualche esempio

L’isola di Boracay nelle Filippine è stata un esempio di turismo insostenibile; un paradiso tropicale trasformato in disastro ambientale, tanto che anche il presidente Roderigo Duterte definì l’isola come un “pozzo nero”.
Nel 2018 l’isola di Boracay venne chiusa 6 mesi per permettere una massiccia pulizia e il risanamento ambientale.
Il boom turistico di Boracay aveva incoraggiato alcuni operatori turistici senza scrupoli a costruire strutture illegali a ridosso della famosa White Beach, le quali avevano condotte fognarie che scaricavano direttamente in mare. Durante il periodo di chiusura le autorità locali hanno demolito centinaia di strutture ricettive abusive e hanno creato un sistema fognario adeguato.
Adesso Boracay è un modello di turismo sostenibile: con le nuove disposizione sono stati istituiti limiti al numero di visitatori giornalieri e sono state vietate le feste in spiaggia e il consumo di alcolici. I turisti possono soggiornare solo nelle strutture ricettive accreditate dal Ministero del Turismo che rispettano gli standard ambientali stabiliti dal governo.

Stessa sorte per la spiaggia di Maya Bay, perla thailandese resa celebre in tutto il mondo dal film “The Beach” con Leonardo Di Caprio. Prima della pandemia la pittoresca baia sull’isola di Phi Phi Leh era off limits per quattro mesi l’anno per dare respiro alla barriera corallina e consentire alla fauna marina di rigenerarsi dall’assalto furioso dei turisti iniziato due decenni fa.
Tuttavia,, la decisione di chiudere completamente un luogo turistico è una mossa “brutale” poiché molte vite dipendono completamente dal turismo, quindi i governi dovrebbero pensare ad una diversificazione delle entrate in modo che la comunità locale non dipenda solo ed esclusivamente dal turismo.
La natura si rigenera
Anche se la pandemia è stata finanziariamente devastante per molte aziende, i paradisi naturali che prima erano invasi da orde di turisti hanno iniziato a rigenerarsi.
Le tartarughe verdi sono tornate a nidificare su alcune spiagge dove prima erano scomparse, gli avvistamenti di dugonghi e squali balena sono diventati più frequenti e le tigri sono di nuovo comparse in alcuni parchi nazionali.
La chiusura per il covid-19 è stata vista come un’opportunità dalla autorità thailandesi che si sono apprestate a ripiantare e far crescere i coralli che erano stati precedentemente danneggiati dalle barche turistiche e dal sovraffollamento dei siti d’immersione subacquee.
La tecnologia potrebbe essere un buon alleato per controllare il numero di visitatori. Grazie allo sviluppo di app e siti web con biglietterie elettroniche si può riuscire a limitare il numero di visitatori giornalieri nei vari siti naturalistici.
Il gregge di turisti
Ma come siamo arrivati a tutto questo sovraffollamento turistico?
I social media sono stati dei formidabili propulsori del turismo che hanno attratto visitatori verso una destinazione particolare molto più velocemente di quanto le autorità locali abbiano lavorato per regolarne i flussi turistici.
L’egocentrismo dei selfie ha poi amplificato il fenomeno #paradise #io-ci-sono-stato, facendo molti danni al concetto vero del viaggio. Questi ammiratori superficiali usano la destinazione come un trofeo da sfoggiare sui social media senza riuscire a catturarne davvero l’essenza.
Altri fattori che hanno contribuito alla crescita di questo turismo irresponsabile sono i voli low-cost che ogni giorno escono con delle tariffe sempre più stracciate e le piattaforme digitali come Airbnb che aiutano i turisti a trovare affitti brevi in appartamenti privati mettendosi in concorrenza con le strutture alberghiere.
Anche i siti utilizzati delle serie tv e cinema, che prima erano sconosciuti, sono diventati improvvisamente delle mete frequentate dal turismo del selfie.
Tra i siti archeologici asiatici più colpiti da sovraffollamento ci sono i templi di Bagan in Myanmar diventato meta preferita dagli influencers di successo che ambiscono ad un selfie al tramonto, e il complesso Angkor Wat in Cambogia. Quest’ultimo ha attirato così tanti visitatori nella vicina città di Siem Reap da causare una carenza di acqua. Ciò ha portato le autorità ad attingere alle acque sotterranee, abbassando pericolosamente la falda freatica e provocando cedimenti nel terreno su cui si trovano i templi di Angkor.

Sarebbe una buona strategia riuscire a distribuire i visitatori in tutto il paese, invece di promuovere solo due o tre siti chiave. In questo modo si riuscirebbe ad alleviare la pressione turistica in determinate località in modo che l’ambiente e le comunità locali ne traggano beneficio.
Per esempio, ci sono tante isole ugualmente belle nelle Filippine, quindi non è necessario che i turisti si accalchino a Boracay. Noi operatori turistici possiamo e dobbiamo promuovere anche le mete meno conosciute.
Prepararsi per il recupero
Adesso che sono cessate le restrizioni dei viaggi internazionali come ripartirà l’industria del turismo?
Ora è giunto il momento per i paesi del sud est asiatico di ripensare se vogliono veramente promuovere politiche di contenimento turistico o dare di nuovo il benvenuto ai turisti “Mordi & Fuggi” che assaltano una destinazione per pochi giorni creando poca ricchezza.
Ciò potrebbe includere qualsiasi cosa, dalla promozione di progetti di conservazione, alle iniziative di impresa sociale che collegano le comunità con i turisti, all’economia della condivisione che collega i viaggiatori con le guide locali o agli hotel che assumono un ruolo più attivo nella comunità costruendo condotte fognarie nei villaggi vicini.
La sostenibilità non deve più essere associata ad un turismo di nicchia, ma bensì la nuova normalità del settore turistico.